
Non ho mai compreso come sia possibile che le persone possano reputare un libro un regalo semplice, e non comprendano quanto possa in realtà essere così intimo regalare una storia a qualcuno. Ma è pazzesco vedere quanto le persone durante il periodo natalizio si riversino nelle librerie in cerca di regali salva rapporti.
Quest’anno ho lavorato moltissimo a dicembre, la libreria era sempre piena di gente in cerca degli ultimi regali per amici e parenti.
Quel pomeriggio ero in cassa intenta a servire una signora anziana che mi ricordava la mia maestra di storia
delle elementari, guance rosse e tonde come due mele mature. Mi chiedeva consiglio su dei libri da lei scelti per i nipotini, si domandava se le storie della sua infanzia potessero essere interessanti per i giovani d’oggi che a paragonarli a quelli dei suoi tempi
sembrano così svegli e spigliati.
Guardando i clienti in coda ho riconosciuto subito lei. Una ragazza che faceva parte
della cerchia di amici che frequentavo nei primi anni delle superiori. Solo il fatto di trovarmela davanti, gli
anni passati sembravano essere ridotti solo ad una manciata di secondi. Ritrovandomi a salutare quella
cliente così gentile in modo frettoloso ed a incespicarmi nel parlare e darle il resto.
Mi sono ritrovata improvvisamente ancora ai mie sedici anni con lo stesso senso di angoscia che mi
attanagliava la gola, sentendomi la nullità di quel periodo.
Non mi sono perdonata nei giorni successivi di averle dato ancora una volta dopo tutti questi anni, modo di
farmi sentire così piccola e insignificante. Con quel frustante senso di umiliazione.
So bene cosa possa significare trovarsi improvvisamente in mezzo ai propri amici e sentirsi sola, ricordo le
prese in giro, i non inviti. Le offese che nel gruppo diventato branco di chi si finge più coraggioso agli occhi
degli altri e ti schernisce ad alta a voce per cercare di divertirli, fregandosene che dall’altra parte c’era una
Persona fatta in carne d’ossa e sentimenti, sentimenti che potevano essere feriti.
Ricordo la complicità tra loro e la solitudine in me. Le voci che diventavano silenzi al mio ingresso nella stanza. Nessuno che con
coraggio si opponeva e mi tendeva la mano. I messaggi che casualmente non arrivavano solo a me, ma era
sicuramente colpa del mio telefono, le merende a casa di qualcuno a cui non venivo invitata perché a detta di quella
mamma bionda sempre ben vestita non venivo da un bel posto e chissà cosa avrei potuto fare.
Ricordo il fatto di rimanere impassibile, fingere di non sentire, umiliarsi a tal punto di far finta di essere stupida e non cogliere
quello che invece capivo benissimo.
Umiliazione dovuta al fatto che forse, io, ragazza dalle possibilità economiche ridotte all’osso, che viveva solo
con la nonna meridionale, come fosse un’aggravante, nelle case popolari, senza neppure un padre potessi
in qualche modo meritarmelo di essere emarginata.
Avevo permesso loro di farmelo credere che me lo meritavo.
Avevo permesso a uomini e donne, seppur giovani, di non fare tesoro delle mie debolezze ma di usarle
come armi contro di me.
E quella puzza di essere diversa, povera, emarginata me la sono portata dietro per anni e mi sono fatta fare del
male e mi sono fatta male non mangiando nascondendomi dentro a felpe e pantaloni enormi sentendomi
brutta, dentro e fuori, svilendomi per anni. Soffocando nel panico e nell’ansia quella straziante solitudine che mi attanagliava. Cercando di stordirmi con ogni mezzo per soffocare quel dolore che sembrava voler vomitare fuori ad ogni costo. Portandomi a
chiedermi il perché i ragazzi potessero interessarsi a me, a perché nuove persone potessero volere essere
mie amiche. Mi domandavo e mi domando costantemente nei miei rapporti cosa possano trovarci le
persone in me. Come se il mio sentirmi nulla sia rimasto. Come se quel dolore si fosse radicato in me e
abbia fatto corteccia sulle mie gambe immobilizzandomi.
So che c’è un pò di questa storia dentro la storia di tutti, per chi ha subito e per chi si vergogna di aver fatto del male a qualcuno, o se ne sia reso complice. Pochi passano indenni da quegli anni, delle volte quegli anni non passano mai.
Io mi sono voluta fare un regalo, buttare in mare questo fardello che mi ha spinto verso il fondo per potermi finalmente levare verso il cielo, perdonando, ma soprattutto perdonandomi ed essere clemente e amicha di me stessa.
Delle volte può succedere di lasciarsi scalfire ma è proprio da quelle ferite profonde che esce la nostra vera essenza.
E quel che ci rimane è essere finamente noi.
Riprendo questo fiume in piena di parole scritto oramai diversi mesi fa, perchè sempre grazie al lavoro in libreria ho modo di vedere diversa gente e molti ragazzi e tra i diversi gruppi che entrano facendo fracasso c’è sempre anche qualcuno solo e a disagio.
Perciò ragazzi tendetevi la mano sempre, e vogliatevi bene anche se vi fa uscire dal vostro ruolo di duri.
Perchè farlo? Non aspettatevi da me la risposta autoritaria di un adulto. Ossia, perchè è giusto.
Perchè la mia è semplicemente: “fatelo perchè è bello.”