Uomini e donne senza braccia

Lo so, arrivo in ritardo di qualche mese per questo articolo, ma queste considerazioni sono uscite a fiume dopo aver partecipato durante il week-end ad un seminario sulla danzamovimentoterapia.
Durante il percorso fatto c’è stato modo di vivere un laboratorio esperienziale sull’ascolto dell’altro.
Divisi in coppie dettate dal caso dell’aver pescato un biglietto con scritto lo stesso nome, il primo iniziava a parlare con la sicurezza che l’altro lo stesse ad ascoltare in silenzio senza rischiare di essere interrotto e viceversa.
La scelta della posizione da tenere durante il confronto era strettamente personale, purché fosse comoda. Dunque seduti per terra, sulle sedie, in piedi o appoggiati al muro, non c’era alcuna differenza l’unica nota era quella di dover avvicinare le proprie mani a quelle del compagno, ma anche in questo la scelta di quanto tenere le mani vicino all’altro era legato al proprio volere.
Quest’anno al Festival di Sanremo i Coma_Cose hanno portato un brano tanto immediato quanto romantico, “Fiamme negli occhi“.
Una vera e propria dichiarazione d’amore fatta in chiave moderna, che la coppia si è fatta guardandosi negli occhi durante l’esibizione sul palco.
Per settimane ho canticchiato il loro bravo ovunque e durante qualsiasi attività facessi in tutto l’arco della giornata.
La prova di quanto abbia tormentato tutte le persone attorno a me, è stata sentir fischiettare il ritornello della canzone a Fabio mentre innaffiava il basilico e i girasoli sul balcone, nonostante fosse stato lontano dall’ Italia per settimane.

C’è stata un’immagine descritta nel testo che più di tutte mi è rimasta in mente :
“..una Venere di Milo
Che prova ad abbracciare un uomo..”
L’immagine della venere senza braccia perché andate distrutte negli anni, lancia un messaggio chiaro e diretto di quanto noi esseri umani, senza alcuna distinzione inutile tra uomini e donne abbiamo così paura della vicinanza dell’altro tanto da sembrare mutilati.
Ed è proprio a partire da questo che mi rilego all’esperienza fatta durante il week-end essere in qualche modo costretta al vero ascolto nei confronti dell’altro, e a guardarlo negli occhi è stato sorprendentemente intenso perché siamo così abituati ad essere sfuggenti allo sguardo e all’attenzione di chi abbiamo davanti, che quando questo accade l’emozione prende il sopravvento.
Fatico a concludere questo articolo con delle risposte, quindi lo farò con tante domande, con la speranza che qualcuno mi riporti il proprio punto di vista e le sue conclusioni.
Questo timore nasce dal fatto che siamo cresciuti con l’idea che l’altro possa farci del male?
Siamo terrorizzati dal suo giudizio? è dunque l’idea di non apparire perfetti che temiamo?
Tremiamo all’idea di svelare le nostre fragilità all’altro perché temiamo che questo non sappia cosa farsene con la nostra umanità?
Abbiamo paura di non essere abbastanza? Paura che rivelarsi all’altro non possa essere abbastanza per tenerlo vicino?
Sento spesso dire che l’idea di dare per poi essere delusi fa passare la voglia di farlo, può dunque valere davvero la pena vivere sedati per paura?
Di una cosa sono certa, prendere per mano qualcuno che abbia paura esattamente come noi potrebbe essere un buon modo per vincerla.