Ed è un pochino la storia di tutti

Ho comprato il libro “Storia della mia ansia” di Daria Bignardi, pochi giorni prima di partire per il mare, diversi mesi fa.
Mi sono lasciata ingannare dal titolo, ma ho visto che ha tratto in inganno diverse persone.
Pensavo parlasse di ansia ed avevo proprio voglia di leggere qualcosa di qualcuno, che come me, non si sentisse mai solo perché sempre in compagnia di questa amica amara che è l’ansia.
Il libro, in realtà, parla di molto altro, l’ansia ha solo un ruolo marginale che è quello di essere una caratteristica ingombrante della protagonista, Lea.
Lea è figlia dell’ansia, ed è stata in grado di dominare per anni (apparentemente) questo stigma non lasciandogli spazio per entrare, il suo metodo era di non lasciare all’ansia il tempo di impossessarsi di lei, tenendosi sempre occupata.
(Direi bello impegnativo come metodo.)
Lea oltre ad avere l’ansia, un lavoro che l’appassiona ha anche una famiglia, ed un marito, Shlomo.
Shlomo è un uomo molto diverso da sua moglie, il suo carattere freddo e schivo ferisce Lea a tal punto da farglielo odiare.
Fino a quando un evento straziante e destabilizzante, come il cancro, costringe Lea a rimettere in discussione tutto.
Questo risulterà essere una buona occasione per aiutarla, anche, a ridimensionare l’angoscia data dalla sua ansia.
Dopo aver concluso questa lettura, ed aver chiuso il libro, c’è voluto diverso tempo prima che riuscissi a metabolizzare le cose lette.
L’ho consigliato ad una amica e dopo averlo finito abbiamo avuto modo di scambiarci qualche opinione a riguardo, e mi ha lasciata perplessa il fatto che durante la lettura abbiamo percepito emozioni diametralmente opposte!
Lei non riusciva a capire cosa potesse spingere Lea a stare accanto a quel marito che a suo dire non l’amasse. Io, dal canto mio, ero invece contenta che la protagonista capisse che Shlomo l’amasse in un modo diverso da quello che lei volesse certo, ma l’amasse a tal punto di esserci sempre.
Ma il bello è proprio questo, che durante una lettura ognuno volge il proprio sguardo sulle cose con la propria soggettività.
Ripensavo a questo libro proprio in questi giorni, non capendone il motivo, ma se si è in ascolto la spiegazione arriva sempre.
Ho pensato ad il modo di amare di Sholmo ed al modo di Lea di chiedergli amore, e quanto questo sia sbagliato.
Chiedere all’altro di amarci esattamente come vogliamo noi, toglie all’altro la possibilità di essere se stesso.
Ma forse è proprio questo quel che c’è di sbagliato, aspettarci che l’altro ci ami proprio e solo come vogliamo noi, negandogli la sua unicità per favorire il nostro egoismo.
Penso che ci sia un solo modo di amare, ed è quello di farlo bene.